Il riposo

Integrazione per la classe V B ec-dietista
RIPOSO-FATICA
Le cellule dell’organismo funzionano per mezzo di energia derivata dall’assorbimento degli alimenti e dal consumo di ossigeno, con produzione di cataboliti (prodotti di rifiuto) che devono essere, poi, eliminati o modificati, perchè il loro accumulo determinerebbe un rallentamento delle funzioni fino alla lesione ed alla morte cellulare. L’attività intensa e prolungata provoca uno stato di “intossicazione cellulare”, denominata fatica cellulare.
Comunemente con la parola fatica si fa riferimento all’affaticamento fisico, ma l’attività mentale e quella muscolare sono funzioni analoghe di elementi cellulari, per cui la fatica mentale non può essere nettamente differenziata dalla fatica muscolare.
Anche gli organi sensoriali determinano affaticamento, perchè trasmettono ai centri cerebrali stimoli continui, mettendo in atto riflessi generali e locali, e contrazioni muscolari.Si possono, perciò, identificare tre tipi di fatica: fisica, mentale e sensoriale. A queste si deve aggiungere la cosiddetta “fatica generica”, che non è determinata dal lavoro in sè, ma dalle attività basali dell’organismo che ne consentono lo stato di coscienza, e che sono regolate da una formazione posta nel tronco cerebrale, il sistema reticolare mesencefalico (SRE), strettamente correlato con il sistema nervoso autonomo che regola l’attività involontaria, ed esplica la sua azione su tutte le attività nervose della vita vegetativa e di relazione del soggetto.
Nel lavoro che comporta impegno fisico l’attività muscolare può essere di tipo dinamico o statico. L’affaticamento muscolare si manifesta con calo del rendimento, per cui il muscolo non riesce più a mantenere la contrazione, con aumento dell’acido lattico e diminuzione del glicogeno, comparsa di sensazioni dolorose, rigidità ed indolenzimento, e dipende dalla capacità di ossigenazione dei muscoli, quindi, dallo stato di funzionalità del sistema respiratorio e cardiocircolatorio, dall’allenamento fisico, dalla durata e dal tipo del lavoro, dalla sua intensità e velocità di esecuzione e dalle condizioni ambientali.
La fatica mentale insorge, invece, in lavori che implicano un grande sforzo di concentrazione, di percezione sensoriale e di particolare abilità, nonchè nelle attività fisiche e psichiche di lunga durata, nei lavori ripetitivi, in attività di grande responsabilità, in condizioni di disagio ambientale e sociale e di cattiva salute.
Il sistema di controllo mentale deve in questi casi spendere grande quantità di energia per integrare le risposte agli stimoli provenienti dai vari sottosistemi.
Il lavoro automatico (monotonia) è sempre uguale a se stesso ingenera disinteresse e noia, con effetti deleteri sul rendimento, perchè i fattori emozionali e gli stimoli che arrivano dall’ambiente esterno ed interno sono scarsi ed inefficienti, per cui il centro diencefalico della fatica, che provoca inibizione delle funzioni psicosensoriali e psicomotorie, prevale sul SRE attivante, facendo insorgere uno stato di vera e propria “fatica da scarso lavoro mentale”.
Perciò, sia nel lavoro mentale sia in quello fisico la previsione di un successo lavorativo, la soddisfazione di un bisogno o un congruo compenso possono diminuire il senso di fatica. Alla base di questo meccanismo vi è la motivazione al lavoro, che modifica gli effetti in senso favorevole.
I sintomi della fatica mentale sono umore depresso, senso di stanchezza, nervosismo, insonnia, desiderio di sospendere il lavoro.
Se gli episodi acuti di fatica vengono accumulati nel tempo e non adeguatamente smaltiti con il riposo, può subentrare uno stato di “fatica cronica”, che in molti casi conduce alla somatizzazione dei disturbi, in particolare dell’apparato cardiocircolatorio e gastrointestinale, fino all’insorgenza di vere e proprie malattie psicosomatiche.
IL RIPOSO
Esiste un meccanismo di preservazione dell’organismo nei confronti della fatica, che è la stanchezza, ossia uno stato fisiologico di esaurimento funzionale di organi ed apparati, la cui insorgenza dipende dal tempo impiegato a consumare le riserve energetiche destinate alle varie attività, e che, anzichè sollecitare una risposta agli stimoli, abbassa il livello di vigilanza e di percezione degli stimoli sensoriali, creando una barriera difensiva contro gli stessi, ed inducendo al riposo ed al sonno.
I sintomi della stanchezza sono gli stessi della fatica, ma quest’ultima si determina quando l’organismo non rispetta l’allarme dettato dalla stanchezza, contrastando, volontariamente o per il persistere degli stimoli, la fisiologica necessità di riposo, e così il recupero delle riserve energetiche.
Subentrano allora sensazioni di malessere e calo del rendimento più accentuati, che possono arrivare alla perdita di capacità di concentrazione e di attenzione, e quindi ad errori, anche pericolosi, nella conduzione del lavoro.
Di qui l’importanza dell’introduzione nei ritmi di lavoro dei cosiddetti “tempi di recupero” ( IL RIPOSO)
Lavorare per periodi prolungati che portano all’affaticamento, anzichè determinare l’aumento del rendimento, finisce, infatti, per farlo diminuire. L’organismo ha la tendenza ad adeguare spontaneamente il ritmo di lavoro al proprio ritmo biologico, in modo da ottimizzare la propria efficienza, e l’allenamento fisico e mentale riduce il dispendio di energia, aumentando il livello di resistenza alla fatica; ma i tempi di recupero sono fondamentali, proprio perchè la fatica è legata ad un eccessivo consumo energetico proporzionale all’impegno ed alla durata del lavoro.
Per una corretta pianificazione del lavoro bisogna, perciò, predisporre il numero e la durata di PAUSE necessarie per evitare di raggiungere lo stato di affaticamento, tenendo anche presente che esistono pause imposte dal lavoro stesso (ad esempio i tempi di attesa per una fotocopia, i tempi per cercare un fascicolo da trattare o per la manutenzione ordinaria degli strumenti di lavoro), e le pause spontanee, indotte, invece, dalla necessità fisiologica di riposarsi per un momento.
È evidente che le pause devono essere proporzionate alla “pesantezza” del lavoro (il lavoro statico richiede, per esempio, tempi di recupero maggiori del lavoro dinamico), e che la necessità di pause è maggiore nella parte finale dell’orario di servizio.
È stato, inoltre, dimostrato che il recupero fisico si attua in prevalenza nella parte iniziale della pausa, perciò si rivelano più produttive pause brevi, ma frequenti, nel corso della giornata lavorativa rispetto ad un’ unica lunga pausa.
Ai fini preventivi nelle comunità, è essenziale procedere con l’Alternazione e Graduazione delle attività in ambito lavorativo tramite una rotazione su posti di lavoro con ritmi differenziati. La stessa alternazione va attuata per la prevenzione della fatica mentale tra lavoro fisico (ginnastica, gioco, passeggiata) e lavoro intellettuale (scuola, studio, lettura amena, conversazione educativa, ecc.) specialmente in ambito scolastico    ( vedi lavoro mentale sul testo pag.205). 
In genere vengono stilate delle tabelle di alternazione e graduazione delle attività negli specifici settori lavorativi , in particolare laddove è necessario garantire anche la sicurezza della comunità, per esempio sulle navi, negli ospedali e così via.
L’obiettivo della Medicina Del Lavoro, secondo le indicazioni del comitato congiunto OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro) e OMS (1959), è quello di:
1.  promuovere e mantenere il più alto grado di benessere fisico, mentale e sociale dei lavoratori in tutte le occupazioni;
2.  adoperarsi per prevenire ogni danno causato alla salute da condizioni legate al lavoro e proteggere i lavoratori contro i rischi derivanti dalla presenza di agenti nocivi;
3.  destinare e mantenere i lavoratori in occupazioni consone alle loro attitudini fisiologiche e psicologiche.
In altre parole, adattare il lavoro all’uomo e collocare ogni persona al posto giusto.
Nelle varie attività lavorative esistono molti fattori e situazioni in grado di interferire con le condizioni di benessere fisico, psichico e sociale, mettendo in atto meccanismi complessi coinvolgenti psiche e soma.
Ecco alcuni esempi:
RISCHI PSICOSOCIALI LAVORO CORRELATI
Tipo di lavoro
Mancanza di varietà nel lavoro o cicli lavorativi brevi, frammentati o lavoro senza significato, sottoutilizzazione delle capacità, grande incertezza, lavoro che richiede una continua interfaccia con altre persone.
Carico di lavoro e ritmo di lavoro
Sovraccarico di lavoro o lavoro sotto carico, ritmo delle macchine, alti livelli di pressione con scadenze temporali continue.
Orari di lavoro
Lavoro a turni, turni di notte, orari di lavoro non flessibili, orari non previsti, orari lunghi o lavoro in assenza di relazioni.
Controllo
Scarsa partecipazione ai processi decisionali, mancanza di controllo sul carico di lavoro, ritmo, lavoro a turni, ecc.
Ambiente e attrezzature
Scarsa disponibilità delle attrezzature, loro inadeguatezza e scarsa manutenzione, condizioni ambientali insufficienti come ad esempio mancanza di spazio, scarsa illuminazione, rumore eccessivo.
DCultura e funzioni organizzative
Scarsa comunicazione, modesto supporto ai processi decisionali e allo sviluppo personale, mancanza di una definizione precisa o di consenso sugli obiettivi organizzativi.
Relazioni interpersonali sul lavoro
Isolamento sociale o fisico, scarse relazioni con i superiori e i collaboratori, conflitti interpersonali, mancanza di supporto sociale.
Ruolo nell’ambito dell’organizzazione
Ambiguità di ruolo, conflitto di ruolo e responsabilità verso le persone.
Sviluppo della carriera
Stagnazione della carriera e incertezza, promozione immeritata o mancanza di promozione, stipendio inadeguato, incertezza lavorativa, basso valore sociale attribuito al lavoro.
Interfaccia casa-lavoro
Esigenze conflittuali tra casa e lavoro, scarso supporto ricevuto in casa, problema di doppia carriera.
I rischi psicosociali comprendono anche la violenza, il mobbing e le molestie sul  luogo di lavoro.

 Il Decreto legislativo 626/94 e successive integrazioni contiene in sé tutti i principi e le indicazioni necessari ad incamminarsi sulla strada che può condurre al miglioramento delle condizioni di lavoro, siano esse correlate ad agenti chimici, fisici, biologici, ergonomici ovvero, a fattori di carattere socio-psicologico e di organizzazione del lavoro.
Tuttavia a livello preventivo bisogna porre l’attenzione sui fattori di rischio meno tradizionali (organizzativi e psico-sociali), valutando correttamente il rischio nell’ambiente di lavoro.
ü     L’intensità dell’impegno richiesto all’uomo, condizionata non solo dal tipo di attività assegnata ma anche dal tipo di attrezzature in uso e dalla qualità dell’ambiente fisico e organizzativo. Il monitoraggio degli aspetti ambientali per assicurare illuminazione adatta, comfort microclimatico, riduzione del rumore, etc.
ü     La durata dell’esposizione al carico.
Di seguito un esempio di valutazione del carico di lavoro mentale
Criteri, metodi e strumenti di valutazione del carico di lavoro mentale (da Draft ISO 10075-3, 1995, tradotto e modificato)
Criteri di misura dello stress da carico di lavoro mentale
Fatica mentale
Monotonia
Ridotta vigilanza
Saturazione mentale
Soggettivi
Interviste e questionari di autovalutazione



Comportamentali
Metodo del “doppio compito”
Frequenza dei cambiamenti posturali, segni di noia (sbadigli)
Percentuale di errori commessi durante il lavoro
Qualità e quantità produttiva, manifestazioni di nervosismo
Fisiologici
Indici di attivazione cardiovascolare, di tensione muscolare, di conduttanza cutanea, etc.
Indicatori neurofisiologici come FCF (Frequenza Critica di Fusione della luce intermittente)
Ridotta attivazione del sistema nervoso centrale (sonnolenza e lentezza)


Biochimici
Alterazione livelli ormonali: ad es. catecolamine e corticoidi



FONTI
http://www.siapol.it/sezione.php?d=1223   dott.ssa Antonia Liaci,medico capo P.d.S.-Questura di Ragusa
http://www.uni.com/uni/controller/it/comunicare/come_comunica/uec/uec_1_2006/lavoromentale_gen2006.htm


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